venerdì 24 febbraio 2012

Come potrebbe cambiare in meglio l’Italia (con meno slogan e con una politica più coerente)

Il 24 febbraio 2012 si è svolto in Ancona un interessante convegno, sulle riforme istituzionali necessarie per il Paese, organizzato dal Consiglio delle Autonomie locali delle Marche, al quale hanno partecipato il Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali della Regione Marche e Presidente della Provincia di Pesaro – Urbino, dott. Matteo Ricci; l’ On. Oriano Giovanelli – Componente Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati (PD), l’ On. Mauro Libè – Componente Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati e Responsabile nazionale del dipartimento Enti locali dell’UdC, il Prof. Alessandro Sterpa – Docente di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Roma La Sapienza e consulente della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, il dott. Vittoriano Solazzi – Presidente dell’Assemblea Legislativa Regionale delle Marche e l’Assessore regionale agli enti locali dott. Antonio Canzian (PD).
Vista l’efficacia comunicativa degli slogan, che per quanto riguarda le riforme istituzionali hanno creato presso l’opinione pubblica l’idea della necessità di cogliere obiettivi che in realtà a volte sono poco utili alla causa del risparmio, in pillole sono riassunte le idee più interessanti, in termini non di slogan ma di proposte, che sono emerse nel convegno.
Il neocentralismo regionale derivante dallo svuotamento di funzioni delle Province è destinato a creare non solo difficoltà di governo regionale dei territori locali, ma anche di mantenimento di tali territori all’interno dei confini regionali. Per non penalizzare gli enti locali preposti alla gestione di funzioni, si può disegnare il Comune come ente composto da Municipi in modo da formare Unioni che gestiscano realmente tutte le funzioni in forma associata. Gli enti locali non vanno visto solo come fattore di costo ma anche come fattore di sviluppo (Matteo Ricci, Provincia di Pesaro - Urbino).
Una vera riforma delle Province può essere realizzata solo modificando la Costituzione e definendo nuovi confini corrispondenti ad aree vaste. Il contratto di lavoro per i dipendenti regionali è più oneroso di quello dei dipendenti provinciali e non potendosi disporre licenziamenti, il riordino delle Province previsto, così come è, comporterà maggiori costi e non un risparmio, considerato anche il problema dei mutui in essere che resteranno da pagare. Si può accettare un ruolo più importante della Regione per le funzioni legislative, ma le funzioni di gestione non possono essere riportate in capo alle Regioni, per ragioni costituzionali, di prossimità ai territori e di efficienza (On. Oriano Giovannelli).
L’UdC è coerente con il proprio obiettivo di sopprimere le Province. PD e PDL avevano indicato tale obiettivo nel programma elettorale nel 2008: adesso sarebbe difficile assumere posizioni contrarie agli obiettivi programmatici, vista la situazione finanziaria e l’esigenza di iniziare il riordino, per rispondere anche ad esigenze sentite dai cittadini. Serve quel buon senso che è mancato quando si è trattato di redigere una legge illogica come quella di cui all’articolo 16 del decreto legge 138/2011 che prescrive unioni fra piccoli comuni in base alla classe demografica di appartenenza, e non in base a criteri di omogeneità territoriale, con indici territoriali e demografici astratti ed unici per l’intero territorio nazionale. Occorre indicare, nella riforma, chi fa cosa, definire le competenze in capo a ciascun ente e quindi capire quali strumenti giuridici utilizzare, in rapporto all’esigenza di ridefinire i perimetri territoriali provinciali. Per ridurre una sacca di spreco, il Ministro Tremonti aveva proposto la formazione del bilancio consolidato delle società partecipate. Tale iniziativa avrebbe portato alla luce il trasferimento dei debiti comunali alle partecipate, ma l’idea non ha avuto un seguito (On. Mauro Libè).
Il federalismo non ha individuato tributi propri per gli enti locali, quindi non esiste un vero federalismo. L’approccio alle riforme è sbagliato. Gli ambiti territoriali per l’associazione fra comuni non possono essere calati dall’alto. La riforma deve partire dall’individuazione delle funzioni e da criteri e parametri per gestirle che le Regioni possono dare ai comuni. Le Regioni possono costringere gli enti locali a cooperare e sulla base della verifica, con parametri oggettivi, dell’adeguatezza dei sistemi organizzativi scelti, si potrà attivare la sussidiarietà in termini di decentramento di funzioni ad enti strutturalmente adeguati. Le Province non hanno perso la potestà statutaria, inoltre il testo unico degli enti locali non è stato abrogato, per cui le Province potrebbero trattenere le proprie funzioni o aspettare l’esito dei ricorsi alla Corte Costituzionale (Prof. Alessandro Sterpa).
Non è possibile continuare a difendere lo status quo. Se Monti non avesse varato la manovra, adesso i dipendenti pubblici non avrebbero più gli stipendi. L’attuale tregua non ha fatto venir meno la causa della crisi che è nel debito. Il debito pubblico italiano è a livelli insostenibili ed ogni anno produce interessi sempre più elevati anche a causa dell’aumento dello spread. Piccoli comuni, enti, agenzie, consorzi, ATO rappresentano un panorama istituzionale che non è in linea con questi tempi che cambiano. I cittadini non capirebbero una battaglia a difesa dell’esistente (dott. Vittoriano Solazzi).

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